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      Avviene nelle rivoluzioni come avviene nella filosofia, dove tutte le controversie nascono meno dalle idee che dalle parole. I riformatori chiamano «forza di spirito» l'audacia colla quale attaccano le solennitá antiche; io la chiamo «imbecillitá» di uno spirito che non sa conciliarle colle cose nuove.
      Il gran talento del riformatore č quello di menare il popolo in modo che faccia da sé quello che vorresti far tu. Ho visto molte popolazioni fare da per loro stesse ciň che, fatto dal governo, avrebbero condannato. «Volendo - dice Macchiavelli - che un errore non sia favorito da un popolo, gran rimedio č fare che il popolo istesso lo abbia a giudicare». Ma a questo grande oggetto non si perviene se non da chi ha giá vinto tanto la vanitá de' fanciulli di preferir le apparenze alle cose reali, quanto la vanitá anche di quegli uomini doppiamente fanciulli, che non conoscono la vera gloria e che la fanno consistere nel far tutto da loro stessi.
      Siccome nelle rivoluzioni passive il gran pericolo č quello di oltrepassare il segno in cui il popolo vuole fermarsi e dopo del quale vi abbandonerebbe, cosí il miglior partito, il piú delle volte, č di restarsene al di qua. Il governo avea ordinata la soppressione istantanea di molti monasteri; e questa, commessa a persone non sempre fedeli, non avea prodotto que' vantaggi che se ne speravano. Si poteano i conventi far rimanere, ma colla legge di non ricever piú nuovi monaci; i loro fondi, con altra legge, si dichiaravano censiti a coloro che ne erano affittuali, colla libertá di acquistarne la proprietá; e cosí si otteneva la ripartizione de' terreni, l'abolizione del monistero a capo di pochi anni, e frattanto ai monaci si avrebbe potuto vender anche caro questo prolungamento di esistenza.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





Macchiavelli