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      I romani si contentarono di far che i plebei potessero ascendere a tutte le cariche: questo era il giusto e formava la libertá; se essi avessero voluto escluderne i patrizi sol perché erano patrizi, sarebbe stato lo stesso che voler rimettere il patriziato dopo averlo distrutto e voler far nascere la guerra civile.
      Pretendevano non doversi impiegar nessuno di coloro che aveano ben servito il re. Era giusto che non s'impiegassero coloro, se mai ve ne erano, che lo aveano servito nei suoi capricci, nelle sue dissolutezze, nelle sue tirannie; che doveano l'onore di servire all'infamia onde si eran ricoperti. Ma molti, servendo il re, avean servita la patria; e molti altri, al contrario, non aveano potuto servire il re, perché non meritavano servir la patria: l'escluder quelli, l'ammetter questi, sol perché quelli aveano servito il re e questi non giá, non era lo stesso che tradire la patria e farla servire da coloro che non sapeano servirla?
      Chi dunque dovea impiegarsi? Coloro solamente che erano patrioti. La repubblica napolitana fu considerata come una preda, la di cui divisione spettar dovea a pochissimi; e questo fu il segnale, né poteva esserlo diversamente, della guerra civile tra la parte numerosa della nazione e la parte debole.
      Questo fece mancare tutt'i buoni agenti della repubblica: se un uomo di genio e da bene è raro in tutto il genere umano, come mai può ritrovarsi poi facilmente in una classe poco numerosa? È vero che i clamori della folla né esprimevano il voto de' buoni né eran di norma al governo; ma, in circostanze precipitose ed incerte, quando la curiositá pubblica è grandissima ed ignote sono ancora le massime di un governo nuovo, né vi è tempo e modo da paragonare le voci ai fatti, i clamori, sebben falsi, producono un male reale, perché il popolo li crede massime del governo e se ne offende.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270