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      Se si fosse rimasto agli estremi, la legge non si sarebbe avuta o avrebbe prodotta una guerra civile; essa avrebbe portata con sé l'apparenza dell'ingiustizia. Fondata su princípi che nessuno poteva negare, gli stessi baroni piú avversi alla rivoluzione l'avrebbero sofferta, se non con indifferenza (poiché chi potrebbe pretendere che taluno resti indifferente alla perdita di tante ricchezze?), almeno con decoro.
      Ma, nel tempo appunto in cui il governo era occupato della discussione del progetto di questa legge, Championnet fu richiamato, e Magdonald, che a lui successe, fu ben lontano dal voler sanzionare ciò che il governo avea fatto. Si dovette aspettare Abrial, il quale fu ragionevole e giusto. Ma intanto il tempo era scorso, ed il timore di disgustar diecimila potenti fece perdere ai francesi ed alla repubblica l'occasione di guadagnar gli animi di cinque milioni.
      È degna di osservazione la differenza che passa tra la discussione che sulla feudalitá vi fu in Francia e quella che vi è stata tra noi. Parlando della prima, Anquetil dice che la discussione dell'Assemblea incominciò da una proposizione fatta per render sicura l'esazione delle rendite a coloro che ne possedevano i diritti, e, passando da idea in idea, si finí coll'abolizione di tutti i diritti. In Francia s'incominciò dalle massime moderate e si passò alle esagerate; in Napoli da queste si ritornò a quelle. Ed era ciò nell'ordine della natura, perché noi riprendevamo le idee dal punto istesso nel quale le avean lasciate i francesi.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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