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      Questo è il male che producono le imposizioni male immaginate e mal dirette; quando anche evitate l'ingiustizia, non potete evitare il sospetto che producono sul popolo gli effetti medesimi dell'ingiustizia.
      Difatti non vi era in Napoli tanto danaro da pagar l'imposizione. Fu permesso di pagarla in metalli preziosi ed in gioie. Chi era incaricato a riceverle ne fu nel tempo istesso il tesoriere, il ricevitore, l'apprezzatore; ed il popolo credette che tutto fosse trafficato non colla bilancia dell'equitá, ma con quella dell'interesse dell'esattore. Io non intendo affermare ciò che il popolo credeva. Il governo, per dar fine ai tanti reclami, nominò una commissione composta di persone superiori ad ogni sospetto.
      Mentre in Napoli si esigeva una tale imposizione, le province erano vessate per un ordine del nuovo governo, con cui si obbligavano le popolazioni a pagar anche l'attrasso di ciò che doveano all'antico. Quest'ordine fatale dovette esser segnato in qualche momento d'inconsideratezza e per ragion di pratica. Si seguí l'antico stile, lo stile di tutt'i governi: difatti fu un solo dei membri componenti il governo quegli che sottoscrisse il decreto, ed io so per cosa certa che non lo credette di tanta importanza da meritare una discussione cogli altri suoi compagni. Non avvertí che quello stile non conveniva ad una rivoluzione. Poco tempo prima, il governo avea abolito un terzo della decima, ed avea fatta sperare l'abolizione intera. La decima interessava piú la capitale che le province, e di quella piú che di queste, per eterna fatalitá, si occupò sempre il nostro governo.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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