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      Si volea fraternizzare col popolo, e per «fraternizzare» s'intendeva prendere i vizi del popolaccio, prender le sue maniere ed i suoi costumi; mezzi che possono talora riuscire in una rivoluzione attiva, in cui il popolo, in grazia dello spirito di partito, perdona l'indecenza, ma non mai in una rivoluzione passiva, in cui il popolo, libero da passioni tumultuose, è piú retto giudice del buono e dell'onesto. Doveasi perciò disprezzare il popolo? No, ma bastava amarlo per esserne amato, distruggere i gradi per non disprezzarlo, e conservar l'educazione per esserne stimato e per poter fargli del bene(46).
      Ammirabile e fortunata è stata per questo la repubblica romana, in cui i patrizi, mentre cedevano ai loro diritti, forzavano il popolo ad amarli ed a rispettarli pei loro talenti e per le loro virtú: il popolo cosí divenne libero e migliore. Nella repubblica fiorentina tutte le rivoluzioni erano dirette da quella «fraternizzazione», che s'intendeva in Firenze come s'intese un tratto in Francia; e perciò la repubblica fiorentina ondeggiò tra perpetue rivoluzioni, sempre agitata e non mai felice: il popolo, o presto o tardi, si annoiava dei conduttori, che non aveano ottenuto il suo favore se non perché si erano avviliti, ed, annoiato dei suoi capi, si annoiava del governo, ch'esso di rado conosce per altro che per l'idea che ha di coloro che governano(47).
      Si condussero taluni lazzaroni del Mercato nelle sale; ma questi erano per lo piú comperati e, come è facile ad intendersi, non servivano che a discreditare maggiormente la rivoluzione.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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