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      Dal 1764 era in Napoli molto cresciuto il prezzo del grano; e, sebbene questo aumento fosse in parte effetto della maggior ricchezza della nazione, non si poteva però mettere in controversia che l'aumento del prezzo degli altri generi non era proporzionato all'aumento di quello del grano(52). Questo non era alterato, quando si paragonava al prezzo del grano nelle altre nazioni di Europa; ma era alteratissimo, allorché si paragonava al prezzo degli altri generi presso la stessa nazione napolitana. Tutto il male nasceva da che l'industria, ed in conseguenza la ricchezza, non si era risvegliata e diffusa equabilmente sopra tutt'i generi ed in tutte le persone. Il male era tollerabile nelle province, ma insoffribile nella capitale, non perché il grano mancasse, non perché il prezzo ne fosse molto piú caro che nelle province; ma perché Napoli conteneva un numero immenso di renditieri, di oziosi o di persone che, senza essere oziose, nulla producevano e che non partecipavano dell'aumento dell'industria e della ricchezza nazionale. Per rendere il popolo napolitano contento sull'articolo del pane, o conveniva migliorarlo e renderlo cosí piú attivo e piú ricco, o conveniva render piú misere le province: la prima operazione avrebbe reso il popolo napolitano contento dei nuovi prezzi; la seconda avrebbe fatto ritornar gli antichi(53). La sola abolizione della gabella era nella capitale un'operazione piú pomposa che utile.
      Guardiamola nelle province. Essa dovette esser inutile in quei luoghi nei quali non si pagava, e questi formavano il numero maggiore; in quelli nei quali si pagava, dovette riuscire piuttosto dannosa.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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