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      Che se i repubblicani avean professate massime le quali parevan distruttrici della monarchia, ciò neanche era da imputarsi loro a delitto, perché eran le massime del vincitore, a cui era dovere ubbidire. Essi avean professata democrazia, perché democrazia professavano i vincitori: se i vincitori si fossero governati con ordini monarchici, i vinti avrebbero seguite idee diverse. L'opinione dunque non dovea calcolarsi, perché non solamente non era volontaria, ma era necessaria e giusta, perché era giusto ubbidire al vincitore. Il voler stabilire la massima contraria, il pretendere che un popolo dopo la legittima conquista ritenghi ancora le antiche affezioni e le antiche idee, è lo stesso che voler fomentare l'insubordinazione, e coll'insubordinazione voler eternare la guerra civile, la mutua diffidenza tra i governi ed i popoli, la distruzione di ogni morale pubblica e privata, la distruzione di tutta l'Europa. Al ministero di Napoli ciò dispiaceva, perché nella guerra era rimasto perdente; ma, se fosse stato vincitore, se invece di perderlo avesse conquistato un regno, gli sarebbe piaciuto che i nuovi suoi sudditi avessero conservato troppo tenacemente e fino alla caparbietá l'affezione alle antiche massime ed agli ordini antichi? Non avrebbe punito come ribelle chiunque avesse troppo manifestamente desiderato l'antico sovrano? La vera morale dei principi deve tendere a render facile la vittoria, e non giá femminilmente dispettosa la disfatta.
      I princípi della Giunta eran quelli della ragione, e non giá della corte.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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