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      L'esecuzione di questa legge spaventò finanche gli stessi carnefici della Giunta. Essa avrebbe fatto certamente rivoltare il popolo. La stessa crudeltá rese indispensabile la moderazione. Vennero da Palermo le note de' proscritti; ma rimase la legge, affinché si potesse loro apporre un delitto.
      Le sentenze erano fatte prima del giudizio. Chi era destinato alla morte dovea morire, ancorché il preteso reo fosse minore.
      Tutti li mezzi si adoperavano per ritrovare il delitto; nessuno se ne ammetteva per difendere l'innocenza. Il nome del re dispensò a tutte le formole del processo, quasi che si potesse dispensare alla formola senza dispensare alla giustizia. Ventiquattro ore di tempo si accordavano alla difesa: i testimoni non si ammettevano, si allontanavano, si minacciavano, si sbigottivano, talora anche si arrestavano; il tempo intanto scorreva, e l'infelice rimaneva senza difesa. Non confronto tra i testimoni, non ripulse di sospetti, non ricognizione di scritture si ammettevano; non debolezza di sesso, non imbecillitá di anni potevan salvare dalla morte. Si son veduti condannati a morte giovinetti di sedici anni; giudicati, esiliati fanciulli di dodici. Non solo tutt'i mezzi della difesa erano tolti, ma erano spenti tutt'i sensi di umanitá.
      Se la Giunta, per invincibile evidenza d'innocenza, è stata talora quasi costretta ad assolvere suo malgrado un infelice, si è veduto da Palermo rimproverarsi di un tal atto di giustizia, e condannarsi per arbitrio chi era stato o assoluto o condannato a pena molto minore.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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