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      I.
      Per rifarci innanzi alla mente quel mondo scomposto, anzi quasi ancor caos, dal quale Dante traeva fuori con mano sicura gli elementi del suo poema, non stimo dover risalire alle favole poetiche della età primitiva. In tutte le Teogonie, nelle indiane7 al pari che nelle scandinave8, in tutte le Mitologie, nelle persiane così come nelle germaniche, facilmente potremmo trovare, sia nel concetto generale, sia in alcune forme particolari qualche cosa di simile al tutto o alle parti della Divina Commedia. E come nei libri sacri delle antiche genti, così anche nelle primitive epopee popolari, è agevol cosa rinvenire tracce della credenza ad un luogo di pene e di ricompense, variamente raffigurato secondo le dottrine religiose, e più o meno particolarmente descritto dai teologi e dai poeti. Nè ciò deve recar meraviglia: chi pensi alla identità dell'umana natura in ogni periodo della storia, sotto qualsiasi plaga del cielo, in qualunque condizione di civiltà: al salutar freno che l'umana ragione si è posto, e che le religioni hanno variamente consacrato, colla fede in una vita futura; e alla innata curiosità che spinge l'uomo a penetrare questo massimo fra i misteri della nostra esistenza. E se guardiamo soltanto la religione e la letteratura dei Greci e dei Romani, dovremo dire che per gli uomini del paganesimo o pei pagani poeti, facile era la discesa all'Averno9: facilis descensus Averno, dacchè lo vediamo volta a volta visitato da Bacco per dovere di figlio, da Ercole e da Teseo per carità d'amico, da Polluce per amor fraterno, da Orfeo per affetto coniugale10; e dai Semidei e dagli Eroi si scende giù sino agli animali: alla zanzara (culex) del poemetto attribuito a Virgilio11. La discesa all'Inferno diventa così necessario episodio di poema, di romanzo, di biografia: e come Omero e Virgilio vi conducono Ulisse ed Enea, così più tardi Apuleio la sconsolata Psiche, e Geronimo peripatetico il misterioso Pitagora.


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I precursori di Dante
di Alessandro D'Ancona
Arnaldo Forni
1874 pagine 50

   





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