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      Ma io perchè andarvi? e chi 'l concede? Io non Enea, io non Paolo sono.
      Secondo questa Visione, Paolo è condotto da un angelo a vedere le pene infernali, che dureranno a detta dell'ingenuo autore, al quale cotesto numero rappresentava l'infinito60, quarantaquattromila e cento anni. E prima, egli scorge un albero immenso al quale pei piedi, per la lingua, per gli orecchi stanno sospesi gli avari. Più oltre è una ardente fornace destinata agli impenitenti: quindi un torbido fiume, attraversato da un ponte «sottile colpe un capello». Questo ponte che già trovammo, e che ritroveremo ancora in altre leggende61, è dapprima mentovato62 nelle tradizioni persiane, donde passò ai credenti di Maometto, e dall'Oriente poi venne nella letteratura cristiana dell'età media63. A capo del ponte sta Belzebù, colla immane bocca spalancata, entro la quale sono attratte le anime dei peccatori, che ne escono poi infiammate come zolfo, annerite come carbone64. Nel fiume i dannati stanno alcuni sino al ginocchio, altri sino alle ciglia, come i tiranni e i traditori di Dante, secondo la gravità dei loro misfatti. Seguono altri tormenti e altri tormentati, che tralasciamo di ricordare; finchè, per ultimo, l'Apostolo giunge a un pozzo suggellato da sette suggelli, ove son sepolti coloro che negarono la divinità di Cristo. Ma questa terribile leggenda s'illumina in fondo di un raggio di luce celeste. Alzando gli occhi, s. Paolo vede gli angeli menare in paradiso l'anima di un giusto65, mentre i demoni ghermiscono quella di un dannato.


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I precursori di Dante
di Alessandro D'Ancona
Arnaldo Forni
1874 pagine 50

   





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