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      Indi la parte equamente data nel poema alla contemplazione e alla politica, alla religione e alla satira, all'uman genere e all'individuo, all'eterno e al caduco. Che se i monaci visionarj avevano scritto sotto la dettatura della fede, spesso superstiziosa, ma profondamente sentita, nč anche Dante aveane difetto: ma la sua fede era pił robusta insieme e pił illuminata. E anch'egli dą nell'opera sua gran luogo alla storia contemporanea ed alla politica, e giudica vivi e morti: ma per sč stesso null'altro bene dimanda se non il ritorno al bell'ovile, col capo cinto dell'amata e meritata fronda; e, fattasi parte da sč stesso, suo precipuo intendimento č instaurare la pace universale e l'ottimo ordinamento della umana compagnia, colla separazione del poter sacerdotale dal civile. E se anch'egli č satirico, non perņ č mai scurrile e plebeo: nč la poesia, che ha appreso studiando sui modelli dell'antichitą, trascina nel fango delle plateali improvvisazioni giullaresche. L'angusto concetto che del male avevano i monaci, pei quali č soltanto violazione del dogma o della pratica devota, egli lo amplia anche alla vita civile; onde Bocca degli Abati, traditore della patria, č confitto nella ghiaccia infernale: e Cassio e Bruto, uccisori di Cesare, sono maciullati da Lucifero, al pari di Giuda, che vendč Cristo. Nč meno gli si allarga nella mente e nell'animo il concetto della virtł e del premio: sicchč l'operositą nella vita civile gli par meritoria quanto la quieta perfezione della spirituale; e se gią la pia credenza assicurava che ai preghi di s. Gregorio, Traiano era stato salvato, Dante, di suo, sottrae Saladino, il conquistatore del sepolcro, dalle fiamme infernali: e Catone, suicida per la libertą, pone all'ingresso del purgatorio, e a salvare Stazio e Rifeo gli basta che l'uno fosse studioso di Virgilio, e l'altro nell'Eneide sia menzionato coll'epiteto di buono.


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I precursori di Dante
di Alessandro D'Ancona
Arnaldo Forni
1874 pagine 50

   





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