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      E la sfida ammirevole ch'egli lancia a Giove, è una di quelle scene dove l'essere pare si elevi verso il cielo, e diventi una emanazione d'azzurro. «Ed ora cadete su di me, fulmini dai solchi tortuosi e dalle punte omicide; scatenate sopra di me la vostra rabbia, tuoni e venti furiosi; sradicate la terra, e confondetela con gli spaventosi turbini del mare e col fuoco degli abissi; precipita, o Giove, il mio corpo nel fondo del baratro nero; io sono, io sono oggi, immortale!».
      Tutte le volte che io mi soffermo a bere lo splendore di queste pagine immortali, due volti sorgono davanti al mio sguardo, risalenti dall'abisso delle memorie.
      L'uno chiuso, pallido, marmoreo, nel quale solo la fiamma degli occhi neri dice l'intensità d'uno spirito che brucia. L'altro, mobile e sorridente, incorniciato da un casco di capelli biondi, e illuminato da due occhi azzurri, che sembrano pescati nel mare.
      Il pallido tessitore di Prato, l'uno, Gaetano Bresci, solo e in catene, nel mastio di S. Stefano, impassibile e fiero, contro la notte dei tempi! Il sardo magnifico e altero l'altro, Michele Schirru, solo, ferito e in catene, muto e sdegnoso, tra i sicari e gli assassini d'Italia.
      Dopo questo sforzo supremo dell'arte greca par che nulla si possa concepire di più bello in tal genere. Tanto che lo stesso «Bacco» di Euripide - questo tragico isolato e calunniato dalle forze oscurantiste di allora, nonostante le sue ridenti promesse e le sue terribili vendette: nonostante lo spirito tutto nostro che informa l'opera sua, «che cioè le buone leggi della natura assicurerebbero a tutti una eguale parte di felicità, se queste giuste leggi non fossero violate dall'orgoglio dei tiranni» - impallidisce e scolora al confronto della visione eschiliana.


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Chi siamo e cosa vogliamo
Patria e religione
di Virgilia D'Andrea
1957 pagine 41

   





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