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      Senza l’uso di qualche linguaggio, per quanto imperfetto fosse, sembra difficile che l’intelletto umano avrebbe potuto elevarsi fino al livello voluto dalla sua posizione dominatrice in un periodo primitivo.
      Se l’uomo primitivo, quando non possedeva che poche e rozze arti, e la sua facoltà di parlare era sommamente imperfetta, meritasse l’appellativo uomo, ciò deve dipendere dalla definizione che noi adoperiamo. In una serie di forme che si graduano insensibilmente da qualche creatura simile alle scimmie fino all’uomo come ora esiste, sarebbe impossibile fermare un qualche punto definitivo in cui si dovrebbe adoperare il vocabolo uomo. Ma questo non ha grande importanza. Così pure non merita gran peso se le così dette razze umane siano indicate così, o siano classificate come specie o sottospecie; ma l’ultimo nome sembra dover essere il meglio appropriato. Finalmente possiamo conchiudere che quando i principii di evoluzione siano generalmente accettati, come certamente saranno fra non molto tempo, la discussione fra i monogenisti ed i poligenisti morirà di una morte tacita ed inosservata.
      V’ha un’altra questione che non si deve lasciar senza menzione, ed è quella, se, come venne asserito talvolta, ogni sottospecie o razza umana sia derivata da un unico paio di progenitori. Nei nostri animali domestici una nuova razza può venire prontamente formata da una coppia unica munita di qualche nuovo carattere, o quando anche un solo individuo è così caratterizzato, accoppiando con gran cura i figli che variano; ma la maggior parte delle nostre razze sono state formate non a bella posta da una coppia scelta, ma inconsciamente conservando alcuni individui che hanno ottenuto qualche lieve, utile e desiderata variazione.


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L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso
di Charles Darwin
A. Barion
1926 pagine 830