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      E allora seguivano dei brutti periodi, durante i quali essa non la poteva soffrire, e attaccava questioni interminabili per un lume messo fuori di posto, perché quella si levava troppo presto, perché si faceva aspettare a tavola, per tutti i più futili pretesti; irritata anche più del non trovare alcuna presa alla sua stizza in quell'animo sano in corpo sano, in cui circolava la vita rapida e calda e pareva che l'operosità continua ed allegra soffocasse ogni senso per i piccoli screzi della vita domestica. Poi la Zibelli s'incapricciva d'un altro, e fin che l'illusione durava, tornava con essa all'amicizia espansiva e protettrice dei primi giorni, aiutandola a vestirsi, divertendosi del suo disordine, compiacendosi quasi dell'ammirazione con cui la vedeva guardata. Senonché, via via che le delusioni si succedevano, com'ella credeva, per cagion di lei, le manifestazioni della sua acrimonia s'andavan facendo più forti, e duravan più a lungo. Ora, quando era in uno di questi periodi, non le si accompagnava più per andar a scuola, sparlava di lei coi vicini, stava delle intere giornate senza aprir bocca o la contradiceva ferocemente dalla mattina alla sera. Ma sempre senza riuscire a metterla in collera. Nelle discussioni, l'amica le dava ragione quando l'aveva, ragionava pacatamente nel caso contrario, non dando importanza altro che al fondo della cosa, e quando la Zibelli le teneva il broncio, si contentava di guardarla ogni tanto, in atto di curiosità, seguitando a fare gli affari suoi, naturalissimamente, immutabile nella sua amicizia virile, senza tenerezze e senza grilli, la quale non dava molto, ma pretendeva poco.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





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