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      La passione lo accecava a tal segno in quel momento, che il consenso di lui non gli si presentava nemmen più come dubbioso. Alla peggio, egli non avrebbe detto un no risoluto, avrebbe titubato, ci avrebbe pensato, gli avrebbe, insomma, dato una speranza, che poi non gli sarebbe più bastato il cuore di togliergli. Preparò dunque il suo discorso, e quando n'ebbe bene in mente il primo periodo e l'orditura generale, in aspetto grave, con una mano nell'altra strette sul petto, si recò nella stanza del commendatore, gli sedette davanti, e, chiesto il permesso di parlare, lentamente, con la voce tremolante, fissando gli occhi sulle ginocchia di lui, gli spiattellò il suo segreto.
      Il commendator Celzani era un uomo che non si stupiva di nulla perché dava pochissima importanza alle cose di questo mondo. Ma quando sentí di che si trattava, non poté a meno di alzare dalla poltrona la maestosa testa bianca, per guardar negli occhi il nipote: poi si riabbandonò sulla spalliera, rinvoltandosi nella veste da camera, e stette a sentire il resto, con lo sguardo errante sulle pitture a fresco della volta. Il segretario aveva avuto la fortuna di coglierlo in un momento di ottima disposizione d'animo perché doveva andare quel giorno con un ispettore di Milano a vedere un saggio di ginnastica femminile all'Istituto del Soccorso. D'altra parte, rapito come era quasi sempre nelle delizie d'un mondo fantastico, nel quale era impaziente di rientrare ogni volta ch'era forzato ad uscirne, egli non contradiceva mai nessuno, e riserbandosi a non far nulla poi o tutto il contrario di ciò che gli altri aspettavano, non rifiutava mai né un consenso né una promessa.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





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