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      Si risentí vedendo la Pedani avvicinarsi all'uscio e a passi vacillanti e impetuosi la raggiunse; ma si fermò a un passo da lei. Essa aveva già la mano sulla maniglia dell'uscio: la ritirò guardando lui con un sorriso d'indulgenza, e poi gliela porse con un atto rigoroso di camerata, per togliere a quella concessione ogni senso di tenerezza. Il segretario capí, e le diede la sua, morta.
      Essa si rifece seria, e disse: - Siamo intesi, dunque... Mai più.
      Egli ripeté macchinalmente, come uno stupido. - Mai più.
      E non l'accompagnò. Attraversando l'anticamera, la maestra sentí un lamento lungo e sordo, come un gemito soffocato tra i pugni, e uno strepito precipitoso di piedi, simile allo scalpitio d'un giumento imbizzarrito; e uscí scrollando il capo, pietosamente.
      Dopo quel giorno don Celzani fu un altro. Non aspettò più la maestra per le scale, si mise a fumare dei sigari Virginia, bazzicò il vicino caffè del Monviso, frequentò il teatro Alfieri, prese un'andatura più disinvolta, si diede alla sua opera di segretario con una operosità non mai veduta, come se le proprietà del commendatore si fossero triplicate tutt'a un tratto, e spinse la bizzarria fino a cambiare il suo eterno cravattino di seta nera con una cravatta di color turchino, che gli dava un'aria addirittura baldanzosa. Tutti gli inquilini notarono quella trasformazione. Lo sentivano qualche volta solfeggiare per le scale, lo vedevan salire o scender a piccoli salti, lo incontravano per la strada in compagnia di giovani della sua età, coi quali non l'avevano mai visto, gesticolante, con una faccia nuova, con mosse e impostature di prete spretato, che volesse dissimulare il suo carattere antico.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





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