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      La maestra s'accendeva nel viso, spiegava la voce con una sonorità potente, tagliava l'aria col gesto, senza smodare, col vigore d'una sacerdotessa ispirata. E si sentiva tutta l'anima sua in quella sincera eloquenza, s'indovinava tutta la sua vita consacrata a un'idea, una gioventù che era come una lunga adolescenza severa, affrancata dai sensi, repugnante a ogni specie di affettazione sentimentale o scolastica, semplice di costumi e di modi, purificata e fortificata da un esercizio continuo delle forze fisiche, del quale erano effetto manifesto la sua salute fiorente, la mente limpida e l'anima retta ed ardita. E quando con l'ultimo tratto ella fece passare nell'aula la figura del vecchio Augusto Ravenstein, fondatore della prima palestra del suo popolo, seguito dal corteo dei grandi ginnasiarchi tedeschi, benefattori di milioni di fanciulli e benemeriti della potenza e della gloria della Germania, scoppiò un'altra acclamazione fragorosa, che scosse lei e tutta l'assemblea, e la interruppe per un po' di tempo; durante il quale le sue compagne le si strinsero intorno afferrandole i panni e le mani, e affollandola di rallegramenti.
      E allora essa corse fino alla fine, con crescente fortuna. Ritornando sull'argomento fondamentale del suo discorso, insistette sulla necessità che tutti gl'insegnanti s'adoprassero a persuadere le famiglie altrettanto che ad ammaestrare gli alunni. Alle maestre più che ad altri spettava quell'ufficio, perché, esercitata dalle donne, avrebbe avuto maggior efficacia la propaganda in favore d'una disciplina in cui esse non potevano eccellere, e che rimoveva il sospetto dell'ambizione.


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Amore e ginnastica
di Edmondo De Amicis
pagine 133

   





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