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      Londra mi pareva di giorno in giorno più grande. Per quanto camminassi con qualunque direzione, non riuscivo mai, non solo a vederne la fine, ma nemmeno una radura di case che l’annunziasse. Da certe parti, passandoci una seconda volta, scoprivo dei tratti di città grandi come Firenze, che la prima volta m’erano sfuggiti. Ogni giorno, anche solo nei quartieri della Westend che frequentavo, vedevo quasi per incanto aprirmisi dinanzi qualche strada immensa che non avevo neanche visto sulla carta. Mi mettevo in viaggio la mattina, ripassavo pei luoghi percorsi il giorno innanzi, senza riconoscerli; arrivavo in un parco dove mi fermavo a ripigliar fiato e coraggio; e poi daccapo nel labirinto infinito delle strade, ora a piedi, ora in diligenza, ora in cab, facendo un’esclamazione di stupore allo svolto d’ogni cantonata, come quando si arriva sulla cima d’un monte e si scopre tutt’a un tratto un nuovo paese. Ho ancora in capo mille immagini confuse di crocicchi pieni di popolo, di grandi spazii solitari e di lontananze nebbiose, – non so di che parte di Londra nè che giorno vedute, – che spesso mi si confondono con visioni di quelle città immaginarie che ci appariscon nei sogni.
      La grandezza e la ricchezza di Londra mi facevano ogni momento una impressione diversa. Alle volte sentivo il mio amor proprio d’italiano, schiacciato; ricordavo con dispetto le meschine vanterie a cui ci lasciamo andare in casa nostra, paragonandoci soltanto con noi medesimi; mi proponevo, quando fossi in Italia, di rintuzzarlo con sarcasmo; avrei voluto esser nato inglese, per aver diritto di guardare dall’alto in basso i latini.


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Ricordi di Londra
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1874 pagine 86

   





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