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      Son già due ore di navigazione, i bastimenti diradano, e benchè i magazzeni, gli opifici, le case si succedano senza interruzione sulle due rive, il porto pare che sia per finire. Si tira un respiro, si aveva bisogno di un po’ di riposo, si era stanchi di meravigliarsi. Così si va innanzi per un’altr’ora, pensando già a Londra come a una città lontana, e al movimento e allo strepito del porto come uno spettacolo del giorno innanzi. Quand’ecco, a una svoltata del fiume, nuove file lunghissime di bastimenti, nuove foreste lontane di alberi e d’antenne, nuovi docks immensi, un altro porto, un altro spettacolo grandioso. Qui l’ammirazione si cangia in stupore, e sembra di sognare. Si direbbe che si sta per entrare in un’altra Londra. Si passa accanto ai docks delle Indie orientali, si rasentano gli arsenali di Woolwich, si trascorre lungo i docks Vittoria, che si stendono per tre miglia lungo la riva sinistra, e via sempre in mezzo a muri senza fine, navi senza numero, merci, macchine, fumo, fischi, partenze, arrivi, bandiere di tutti i popoli della terra, faccie di tutti i colori, parole di lingue ignote, che vi giungono all’orecchio dai legni vicini, vestimenta strane, grida selvaggie che fan balenare alla fantasia mari e lidi remoti. E son tre ore che quello spettacolo dura! Per quanto il senso dell’ammirazione sia stanco, bisogna ricominciare ad ammirare. La mente si esalta, non si prova più quel sentimento quasi di umiliazione che si provava da principio, paragonando quel paese al proprio; non si paragona più; ci si sente diventare cosmopolita; l’orgoglio nazionale muore in un sentimento d’orgoglio umano; non si vede più il porto di Londra, ma il porto di tutti i paesi, il centro del commercio della terra, il luogo di convegno dei popoli d’ogni razza e d’ogni zona; e mentre gli occhi guardan lì, il


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Ricordi di Londra
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1874 pagine 86

   





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