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      Lontano, all’orizzonte, a traverso a brume violacee leggerissime, contorni incerti di vasti sobborghi fumanti, dietro i quali non si vede più, ma s’indovina ancora Parigi; da un’altra parte, altri sobborghi enormi, affollati sulle alture, come eserciti pronti a discendere, pieni di tristezze e di minaccie; a valle della Senna, in una chiarezza un po’ velata, come in un vasto polverio luminoso, a tre miglia da noi, le architetture colossali e trasparenti del Campo di Marte. Che belli slanci vertiginosi dello sguardo da Belleville a Ivry, dal bosco di Boulogne a Pantin, da Courbevoie al bosco di Vincennes, saltando di cupola in cupola, di torre in torre, di colosso in colosso, di memoria in memoria, di secolo in secolo, accompagnati, come da una musica, dall’immenso respiro di Parigi! Povero e caro nido della mia famigliuola, dove sei? Poi il mio amico mi disse: – Ridiscendiamo nell’inferno – e tornammo a tuffarci nell’oscurità dell’interminabile scala a chiocciola, dove un rintocco inaspettato della grande campana di Luigi XIV ci fece tremare le vene e i polsi come un colpo di cannone.
      E ritornammo sui boulevards. Era l’ora del desinare. In quell’ora il movimento è tale da non poterne dare un’idea. Le carrozze passano a sei di fronte, a cinquanta di fila, a grandi gruppi, a masse fitte e serrate che si sparpagliano qua e là verso le vie laterali, e par che escano le une dalle altre, come razzi, levando un rumore cupo e monotono, come d’un solo enorme treno di strada ferrata che passi senza fine.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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