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      — Voi avete cuore. Siete un amico. Avete fatto bene a presentarvi così. Vi ringrazio con tutta l’anima. Non volete mica lasciarmi subito, non è vero? Voi resterete con me tutta la sera.
      Poi mi domandò:
      — Di che paese siete?
      Inteso ch’ero italiano, mi guardò fisso. Poi mi prese di nuovo la mano, mi fece sedere e sedette.
      Che cosa dirgli, Dio buono! A un uomo così, quando gli avete espresso con tutta l’anima quello che sentite per lui, lì su due piedi, nel primo impeto dell’entusiasmo, gli avete detto tutto. Non rimane che rivolgergli delle domande. Ma che cosa fargli dire ch’egli non abbia scritto? Conoscete da tanti anni tutti i suoi più intimi pensieri, ogni domanda par che sia oziosa, e poi quando si ha appena tanto animo da rispondere, non si può averne abbastanza da interrogare. Perciò rimasi lì, senza parola. E d’altra parte, che cosa poteva dire a me, lui? Nondimeno, per levarmi d’imbarazzo, mi fece parecchie domande intorno alle mie impressioni di Parigi, all’Esposizione, all’Italia; domande che, invece di togliermi d’imbarazzo, mi ci avrebbero messo fino agli occhi, se non mi fossi accorto che, da osservatore fine degli uomini, egli badava assai più alla viva commozione che trapelava dalla mia voce incerta, dalle mie risposte monosillabiche e dal mio sguardo fisso che io divorava, che non al senso di quello che io dicevo. E mi guardava con una cert’aria affettuosa, corrugando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi per aguzzare lo sguardo, e sorridendo leggerissimamente, come se si compiacesse dell’effetto che mi produceva, e mi dicesse in cuor suo: — Guardami, via; levatene un po’ la voglia, povero giovane, perchè te la leggo proprio sul viso, e m’hai l’aria d’un buon diavolo sincero.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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