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      E l’osservai infatti, in quei pochi minuti, attentissimamente; ma non potei vederlo bene che più tardi perchè il lume non gli batteva sul viso. È di statura media, leggermente curvo, tarchiato. Ha la testa grossa, ma ben fatta; fronte vasta, collo di toro, spalle larghe, mani corte e grosse, e una carnagione rossigna da cui traspira la salute e la forza. Tutta la sua persona ha qualcosa di poderoso e d’atletico, come il suo genio. Ha i capelli irti e fitti, la barba intera e corta, bianchissima; gli occhi lunghi e stretti, un po’ obliqui, come i fauni; il che dà al suo viso un aspetto un po’ strano. Se siano neri o azzurri, non ricordo. Sono occhi vivissimi e mobilissimi, che paiono socchiusi, e appariscono soltanto come due punti scintillanti, che quando fissano, penetrano in fondo all’anima. Aveva una giacchetta d’orleans nero e il suo solito panciotto oscuro, abbottonato fin sotto il mento. La prima impressione che mi fece fu d’un uomo abitualmente triste.
      — Ora staremo un po’ insieme, — mi disse, dopo avermi fatto qualche altra domanda, — e poi verrete di là con me, nel salotto, dove conoscerete alcuni degli uomini più notevoli della Francia. In che città abitate, in Italia?
      Diedi la mia risposta in fretta, e nello stesso punto mi prese una grande paura. — Se mi domandasse qual è la mia professione! — dissi tra me. E mi sentii diventar rosso fino alla radice dei capelli.
      Fortunatamente per me, mentre apriva la bocca per interrogare, entrò gente.
      Allora assistetti a una scena, o piuttosto a una serie di scene tra amene e commoventi, che mi diedero un’idea di cosa dev’essere la giornata di Vittor Hugo, e mi compensarono di non aver potuto continuare la conversazione a quattr’occhi.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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