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      Dopo di lui, parlarono molti altri, terminando tutti i loro discorsi con un saluto riverente al grande maestro; ma egli non diede segno alcune di commozione. Solo di tratto in tratto la sua fronte si rischiarava; ma tornava subito a corrugarsi, come se il pensiero ostinato e implacabile, che l’aveva lasciato libero un momento, si fosse daccapo impadronito di lui. Finito l’ultimo discorso, si alzò e s’avviò per uscire. E allora tuonò un ultimo applauso, più caldo, più fragoroso e più persistente del primo, accompagnato da uno scoppio, di grida d’entusiasmo, che lo costrinsero a soffermarsi. Non era un applauso al discorso; era un applauso alle Orientali e alla Leggenda, era un tributo di gratitudine al poeta dei grandi affetti, un saluto all’antico lottatore, un buon augurio al settuagenario, un addio all’uomo che molti non avrebbero mai più riveduto. – Egli rispose con un lungo sguardo e disparve.
     
     
      IX.
     
      Ecco Vittor Hugo come io lo vidi, nel colmo delle sua gloria. Le generazioni avvenire lo vedranno alla stessa altezza? I più ne dubitano. Ma il tempo non potrà far di più che spolparlo: la sua ossatura colossale rimarrà diritta, come un enorme albero sfrondato, sull’orizzonte della storia letteraria del secolo, e legioni d’ingegni voleranno colle penne cadute dalle sue ali. Egli è uno di quegli scrittori poderosi, che si presentano alla posterità insanguinati, scapigliati ed ansanti, portando sul proprio stemma i titoli delle loro opere come nomi di battaglie vinte o di disastri gloriosi o di sublimi follie, e la posterità li saluta con riverenza, come grandi atleti feriti.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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