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      gier, e poi un’ora in un crocchio d’amici colti ed amabili al caffè Tortoni, e in fine, a letto, un capitolo d’un nuovo romanzo del Flaubert, tra riga e riga del quale penseremo già alla gita che faremo a Saint-Cloud la mattina seguente. In nessun’altra città si danno delle ore così piene zeppe di sensazioni e di aspettazioni piacevoli. Non l’ora, ma il quarto d’ora è pieno di promesse misteriose e d’indovinelli, che tengono l’animo sospeso nella speranza di qualche cosa d’impreveduto: supremo alimento della vita. Abbiamo un amico al Giappone di cui non sappiamo nulla da anni? Mettiamoci davanti al Grand Cafè tra le quattro o le cinque: non è mica improbabile che lo vediamo passare. Là abbiamo tutto di prima mano. Siamo all’avanguardia, tra i primi dell’esercito umano a veder la faccia della nuova idea che s’avanza, le calcagna dell’errore che fugge, la nuova direzione del cammino dopo la svolta; e subito s’innesta sul nostro amor proprio una specie di vanagloria parigina, di cui ci spoglieremo alla stazione partendo; ma che s’impadronisce anche di coloro che detestano la città sin dal primo giorno. Ed è inutile tentar di fuggire a quel turbinìo d’idee e di discorsi. La discussione ci aspetta a cento varchi, ci provoca coll’arguzia, colla canzonatura, col paradosso, collo sproposito, e costringe l’uomo più apatico a farsi soldato in quella battaglia. Da principio si rimane sopraffatti, e per quanto si possegga la lingua, non si trova più la parola. Ai pranzi, in special modo, verso la fine, quando tutti i visi si colorano, non si ardisce slanciare il proprio in mezzo ai mille razzi matti di quelle conversazioni precipitose e sonore.


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Ricordi di Parigi
di Edmondo De Amicis
Treves Milano
1879 pagine 192

   





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