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      Sul banco v'è un piattino con una spugnetta intrisa nell'acqua per inumidire i francobolli, senza quella seccatura di star lì a leccare; e in un canto una cassetta per le lettere e per le stampe. La prima volta che s'entra in una di queste botteghe, specie quando c'è molta gente, vien da ridere a veder quei tre o quattro che vendono, sbatter le monete sul banco in maniera da farsele saltare fin sopra la testa, e coglierle in aria, con un gesto da giocatori di bussolotti; e fan così da per tutto per accertarsi col suono che le monete sian buone, poichè ne corron moltissime false. La moneta più usuale è il real, che vale poco più di cinque soldi nostri; quattro reales fanno una peceta,[97] cinque pecetas un duro, che equivale al nostro scudo di buona memoria, aggiuntovi ventisei centesimi; cinque scudi fanno un doblon de Isabel, d'oro. Il popolo fa i suoi conti a reales. Il reale si divide in otto cuartos, o diciassette ochavos, o trentaquattro maravedis; monete dei mori, che han perduta quasi la forma primitiva, e rassomigliano a bottoni schiacciati piuttosto che a monete. Il Portogallo pure ha una unità monetaria più piccola della nostra: il reis, che vale presso a poco la metà d'un centesimo; e tutto si conta a reis. Figuriamoci un povero viaggiatore, che arrivi là senza saperne nulla, e che fatto un buon pranzetto e domandato il conto, si senta dire a muso duro, invece di quattro lire:-Ottocento reis!-Gli si rizzano i capelli.
     
      Prima di sera andai a vedere il luogo dove nacque il Cid; se non ci avessi pensato io stesso, me lo avrebbero rammentato i ciceroni, chè per tutto dove passavo mi mormoravano all'orecchio:-Resti del Cid; casa del Cid; monumento del Cid.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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