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      In capo a pochi giorni, un buon amico mi trovò una Casa de huespedes, e mi ci andai a installare. Queste case di ospiti non son altro che famiglie che dan da mangiare e da dormire a studenti, artisti, forestieri, a prezzi differenti, si capisce, secondo come ci si dorme e come si mangia; ma sempre a miglior[126] prezzo che gli alberghi, coll'inestimabile vantaggio che ci si respira un'aria di casa, ci si stringono amicizie, e vi si è trattati piuttosto come gente della famiglia che come dozzinanti. La padrona di casa era una buona signora sulla cinquantina, vedova d'un pittore che aveva studiato a Roma, a Firenze e a Napoli, ed aveva serbato per tutta la vita una ricordanza grata e affettuosa d'Italia. Anch'essa, naturalmente, nutriva per il nostro paese una vivissima simpatia, e me lo dimostrò coll'assistere ogni giorno al mio desinare, raccontandomi vita, morte e miracoli di tutti i suoi parenti e di tutti i suoi amici, come se fossi stato il solo confidente ch'ella avesse in Madrid. Pochi spagnuoli intesi parlare così spedito, così franco, e con tanta abbondanza di frasi, di motti, di paragoni, di proverbi, di parole. Sui primi giorni ne fui sconcertato; capivo poco; dovevo pregarla ogni momento di ripetere; non riuscivo a farmi intendere sempre; m'accorsi in una parola, che studiando la lingua sui libri, avevo sciupato di molto tempo a inzepparmi la testa di frasi e di vocaboli che non occorrono quasi mai nella conversazione ordinaria; mentre ne avevo lasciati da parte altri moltissimi, che sono indispensabili.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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