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      Non ricordo se fossero dodici o quattordici battaglioni; ciascuno dei quali scegliendo la propria divisa, s'era sforzato di riuscire quanto più era possibile diverso da tutti gli altri. Erano comandati dal Sindaco, che aveva anch'egli un'uniforme fantastica. Potevano essere un ottomila uomini. All'ora fissata, un improvviso scorrazzare di ufficiali di stato maggiore e un sonar clamoroso di trombe annunziò l'arrivo del Re. Arrivò in fatti dalla strada d'Alcalà Don Amedeo, a cavallo, vestito da capitan generale, con stivaloni, calzoni bianchi e divisa a coda di rondine; e dietro a lui un folto stuolo di generali, d'aiutanti di campo, di servitori rosso-vestiti, di lancieri, di corazzieri, di guardie. Dopo che ebbe percorsa tutta la fronte dell'esercito, dal Prado fino alla chiesa di Atocha, in mezzo a una folla fitta e silenziosa, ritornò verso la strada Alcalà. Qui era una moltitudine immensa che ondeggiava e rumoreggiava come un mare. Il Re e il suo stato maggiore s'andarono a fermare davanti alla chiesa di San José colle spalle volte alla facciata, e la cavalleria fece sgombrare, a gran fatica, un piccolo spazio per dove potessero sfilare i battaglioni.[169]Sfilarono per plotoni. Via via che passavano, a un cenno del comandante gridavano:-Viva el Rey! Viva Don Amadeo primero!
      Il primo ufficiale che lanciò il grido ebbe una idea infelice. L'evviva gridato spontaneamente dai primi diventò come un dovere per tutti gli altri; e fu cagione che il pubblico pigliasse la maggior o minor forza ed armonia delle voci come segno di dimostrazione politica.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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