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      Io, per mio conto, la prima volta che uscii da quel Circo, avevo appena tanta forza da reggermi in piedi; la testa mi girava come un arcolaio, le orecchie mi fischiavano, per tutto[195] vedevo corna di tori, occhi iniettati di sangue, cavalli morti, luccichío di spade. Presi la via più corta per andare a casa, e appena arrivato, mi cacciai in letto, e m'addormentai d'un sonno profondo. L'indomani mattina venne in gran fretta la padrona di casa a domandarmi: "Ebbene? che gliene parve? s'è divertito? ci tornerà? che cosa ne dice?"-"Non so" risposi "mi par d'aver sognato, gliene parlerò poi, ho bisogno di pensarci."-Venne il sabato, la vigilia della seconda corsa dei tori. "Ci va?" mi domandò la padrona. "No..." risposi pensando ad altro. Uscii, infilai la strada d'Alcalà, mi trovai, senza accorgermene, davanti alla bottega dove si vendono i biglietti; c'era un visibilio di gente; dissi fra me:-Ci ho da andare?... Sì?... No?...-"Vuole un biglietto?" mi domandò un ragazzo: "un asiento de sombra, tendido numero seis, barrera, quince reales?" Ed io risposi: "Qua!"
     
      Ma per comprender bene la natura di codesto spettacolo, bisogna conoscerne la storia. Quando si sia fatto per la prima volta un combattimento coi tori, non si sa in modo sicuro; la tradizione narra che fu il Cid Campeador il primo cavaliere che scese colla lancia nell'arena, e uccise da cavallo il formidabile animale. D'allora in poi i giovani nobili si dedicarono con grande ardore a questo esercizio; in tutte le feste solenni vi furon corse di tori; e solamente alla nobiltà era concesso l'onore di combattere; i re stessi scendevan nell'arena; durante tutto[196] il medio-evo era codesto lo spettacolo favorito delle corti, e l'esercizio prediletto dei guerrieri, non solo tra gli Spagnuoli, ma anco tra gli Arabi; e gli uni e gli altri gareggiavano nell'arena toresca come sul campo di battaglia.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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