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      Questa chiesa che, appetto all'intero edifizio, par piccina, è nullameno una delle più vaste chiese della Spagna; e benchè appaia così spoglia d'ornamenti, racchiude immensi tesori di marmi, d'ori, di reliquie, di quadri, che l'oscurità in parte nasconde, e dai quali il triste aspetto dell'edifizio distrae l'attenzione. Oltre le mille opere d'arte che si vedon nelle cappelle, negli stanzini attigui alla chiesa, nelle scale che salgono alle tribune, v'è in un corridoio dietro al coro uno stupendo crocifisso di marmo bianco di Benvenuto Cellini, coll'iscrizione: Benvenutus Zelinus, civis florentinus facebat 1562. In altre parti si vedon quadri del Navarrete e dell'Herrera. Ma ogni sentimento di meraviglia muore in quello della tristezza. Il colore della pietra, la luce dubbia, il silenzio profondo che vi circonda, richiama incessantemente[223] il vostro pensiero alla vastità, ai recessi ignoti, alla solitudine dell'edifizio, e non vi lascia luogo al diletto dell'ammirazione. L'aspetto di quella chiesa vi desta un senso inesprimibile di inquietudine. Voi indovinereste, quando non lo sapeste altrimenti, che intorno a quelle mura, per un grande spazio, non v'è che granito, oscurità e silenzio; senza vedere lo smisurato edifizio, lo sentite; sentite che vi trovate in mezzo a una città disabitata; vorreste affrettare il passo per vederla presto, per liberarvi dall'incubo di quel mistero, per cercare, se in qualche parte vi fosse, la luce viva, il rumore, la vita.
      Dalla chiesa, per parecchie stanze nude e fredde, si va nella sacrestia, un'ampia sala a volta, nella quale tutta una parete è occupata da armadi di legni svariati e finissimi, che racchiudono gli ornamenti sacri; la parete opposta, da una serie di quadri del Ribera, del Giordano, del Zurbaran, del Tintoretto e d'altri pittori italiani e spagnuoli; e in fondo il famoso altare della Santa forma col celeberrimo quadro del povero Claudio Coello, che morì di crepacuore per la chiamata di Luca Giordano all'Escuriale.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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