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      Poi mi condusse in un angolo dove era un mostro enorme che, toccato non so come, scoteva un lunghissimo collo, e una testaccia orribile, facendo un rumore assordante. Ma non mi seppe dire che cosa quel brutto arnese significasse, e m'invitò invece ad ammirare la meravigliosa immaginazione spagnuola che creò tantas cosas nuevas da venderne a tutti i mondi che nuotano nell'infinito. Ammirai, pagai, e ripresi la salita colla mia pieuvre toledana. Dall'alto del campanile si gode un colpo d'occhio stupendo: la città, i colli, il fiume, un vastissimo orizzonte, e sotto, la gran mole della Cattedrale che pare una montagna di granito. Ma v'è un'altra altezza, poco lontano di là, dalla quale si vede meglio ogni cosa; e però mi trattenni sul campanile pochi momenti, tanto più che in quell'ora splendeva un sole ardentissimo che confondeva tutti i colori della città e della campagna in un oceano di luce.
     
      Dopo la Cattedrale, il mio cicerone mi condusse a vedere la famosa chiesa di San Juan de los Reyes, posta sulle rive del Tago. La mente mi si turba ancora a pensare ai giri e rigiri che dovemmo fare per andarvi. Era mezzogiorno, le strade deserte; via via che ci allontanavamo dal centro della città, la solitudine[272] si faceva più trista; non si vedeva una porta nè una finestra aperta, non si sentiva il più leggero rumore. Un momento ebbi il sospetto che il cicerone fosse di balla con qualche assassino per tirarmi in un luogo appartato e farmi spogliare; una faccia sospetta l'aveva; e poi guardava qua e là coll'aria sospettosa, di chi medita un delitto.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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