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      Ma dalla considerazione delle cappelle, dei quadri, delle sculture, si ritorna senza posa ad ammirare la Cattedrale nel suo grandioso e, se si potesse dire, formidabile aspetto. Dopo essersi slanciati su fino a quelle altezze vertiginose, lo sguardo e la mente ricadono a terra, quasi stanchi dello sforzo, come per ripigliar nuova lena a salire. E le immagini che vi pullulano nel capo, rispondono alla vastità della Basilica: angeli smisurati, teste di cherubini mostruose,[336] ali grandi come vele di naviglio, e svolazzi di manti candidi immensi. L'impressione che vi produce codesta Cattedrale è tutta religiosa; ma non mesta; è quel sentimento che trasporta il pensiero negli spazi interminati e nei tremendi silenzi, nei quali s'annegava il pensiero di Leopardi; è un sentimento pieno di desiderio e di ardire; il brivido voluttuoso che si prova sull'orlo d'un abisso; il turbamento e la confusione delle grandi idee; il divino terrore dell'infinito.
      Come è la cattedrale più varia della Spagna (chè l'architettura gotica, la germanica, la greco-romana, l'araba e quella nominata volgarmente plateresca vi lasciarono ciascheduna una impronta), ella è pure la più ricca e la più privilegiata. Nei tempi della maggior potenza del clero, vi si bruciavano, ogni anno, ventimila libbre di cera; vi si celebravano, ogni giorno, su ottanta altari, cinquecento messe; il vino che si consumava nel sacrifizio ascendeva all'incredibile quantità di diciottomila settecento cinquanta litri. I canonici avevano un servidorame da monarchi, si recavano alla chiesa in splendide carrozze tirate da superbi cavalli, si facevano sventolare dai chierici, mentre celebravan la messa, con enormi ventagli ornati di piume e di perle; diritto concesso loro dal Papa, del quale alcuni approfittano ancora oggigiorno.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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