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      In un canto si vedeva un tavolino da lavoro, e qua e là seggiole e panchettine, sulle quali s'eran forse posati poco prima i piedi di qualche Andalusa che in quel momento ci osservava di fra le stecche d'una persiana. Io guardai minutamente ogni cosa, come avrei fatto in una casa abbandonata dalle fate; sedetti, chiusi gli occhi e immaginai d'essere il padrone; poi m'alzai,[358] bagnai una mano allo zampillo della fontana, palpai una colonnetta, m'affacciai alla porta, presi un fiore, alzai gli occhi alle finestre, risi, misi un sospiro, e dissi:-"Quanto debbono esser felici coloro che vivon qui!"-In quel punto sentii ridere, mi voltai, e vidi lampeggiar dietro una persiana due neri occhietti, che sparirono subito. "In verità," dissi "non credevo che su questa terra si potesse ancora vivere tanto poeticamente! E pensar che voi vi godete queste case per tutta la vita! E che avete ancora voglia di stillarvi il cervello colla politica!"-Il signor Gonzalo mi spiegò i secreti della casa.-"Tutti questi mobili," mi disse "questi quadri, questi vasi di fiori, all'avvicinarsi dell'autunno scompaion di qui e risalgono al primo piano, che è l'abitazione dell'inverno e della primavera. All'avvicinarsi dell'estate, letti, armadii, tavole, seggiole, ogni cosa si riporta nelle stanze a pian terreno, e la famiglia dorme qui, e desina, riceve gli amici e lavora, in mezzo ai fiori e ai marmi, al mormorío della fontana. E poichè la notte si lascian le porte aperte, dalle stanze dove si dorme si vede il patio illuminato dalla luna, e si sente l'odor delle rose.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





Andalusa Gonzalo