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      Di nessun'altra città m'è rimasta una ricordanza così vaga come di Siviglia. Oggi ancora, mentre son ben sicuro di essere stato a Saragozza, a Madrid, a Toledo, qualche volta, pensando a Siviglia, mi piglia un dubbio. Mi pare che sia una città molto più lontana degli ultimi confini della Spagna, che per tornarci dovrei viaggiare mesi e mesi, e attraversare terre sconosciute e grandi mari e popoli in tutto diversi da noi. Penso alle strade di Siviglia, a certe piazzette, a certe case, come penserei alle macchie della luna. A volte, l'immagine di quella città mi passa dinanzi agli occhi, come una forma bianca, e dispare, quasi senza che io possa afferrarla colla mente; la vedo odorando un arancio cogli occhi chiusi; fiutando I' aria, in certe ore[368] della giornata, sulla porta d'un giardino; canterellando una canzoncina che sentii cantare da un ragazzo su per le scale della Giralda. Non so spiegare a me stesso questo secreto; ci penso, come a una città che avessi ancora da vedere, e godo nel guardare stampe e nello sfogliar libri comprati là, perchè son cose che attestano a me stesso che ci sono stato. Un mese fa ricevetti una lettera del Segovia che mi diceva:-Ritornate fra noi;-e n'ebbi un piacere matto, e nello stesso tempo risi come se m'avessero detto:-Fate una corsa a Pekino.-E appunto per questo Siviglia mi è cara su tutte le altre città della Spagna; l'amo come una bella donna sconosciuta, che attraversando un bosco misterioso, m'avesse gettato uno sguardo ed un fiore.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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