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      Le tinozze sono d'un sol pezzo di marmo, vaste, e serrate fra le due pareti. I corridoi che conducono da uno stanzino all'altro son bassi e stretti in modo che appena ci può passare un uomo; e vi fa un fresco che è una delizia. Affacciandomi a uno di quegli stanzini, fui preso tutt'a un tratto da un pensiero tristo.
      Che cos'ha che si rannuvola?
      mi domandò l'amico.
      Penso,
      risposi, "al come viviamo noi, d'estate come d'inverno, in quelle case che paion caserme, in quelle stanze al terzo piano o buie o inondate da un torrente di luce, senza marmo, senz'acqua, senza fiori, senza colonnine; penso che dovremo viver tutta la vita così, e morire fra quelle pareti, senza aver provato una volta la voluttà di questi palazzi fatati; penso che anche in questa misera vita terrena si può immensamente godere, e che io non godrò nulla! Penso che potevo nascere quattro secoli fa re di Granata, e che sono nato invece un poveromo!"[427]L'amico rise, e stringendomi un braccio fra l'indice e il pollice, come per darmi un pizzicotto, mi disse:
      Non pensi a questo. Pensi a quanto di bello, di gentile e di segreto debbono aver visto queste tinozze; ai piedini che sguazzarono nelle loro acque odorose, alle lunghe capigliature che si sparsero sui loro orli, ai grandi occhi languidi che guardarono il cielo a traverso i fori di quella vòlta, mentre sotto gli archi del cortile dei Leoni risonava il passo concitato d'un Califfo impaziente, e i cento zampilli della reggia dicevano col loro affrettato mormorio:-Vieni, vieni, vieni!-e in una sala profumata uno schiavo tremante di riverenza chiudeva le finestre colle cortine color di rosa.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





Granata Leoni Califfo