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      Relata refero, e son ben lontano dal credere tutto ciò che dei valenziani si dice; ma è certo che a Valenza la sicurezza pubblica, se non è un mito, come dicono poeticamente le nostre gazzette parlando delle Romagne e della Sicilia, non è neanco il primo dei beni che vi si goda, dopo quello della vita. Me ne persuasi la prima sera del mio soggiorno in quella città. Non sapevo andare al porto, credevo che fosse vicino, dimandai a una bottegaia per dove dovevo passare. Gettò un grido di meraviglia.
      Al porto vuol andare, caballero?
      Al porto.
      Ave Maria purisima, al porto a quest'ora?
      E si voltò verso un crocchio di donne che stavan accanto alla porta dicendo in dialetto valenzano:
      Donne, rispondetegli voi per me: questo signore mi domanda per dove si passa per andare al porto!
      Le donne risposero ad una voce: "Dio lo guardi!"
      Ma da che?
      Non si fidi!
      Ma per che ragione?
      Per mille ragioni.
      [483]Ditene una.
      Potrebb'essere assassinato.
      Mi bastò una ragione sola, come ognuno può capire; e non cercai più in là.
     
      Del resto, a Valenza come altrove, per quel poco commercio ch'ebbi colla gente, non trovai che cortesia, come straniero, e come italiano, un'accoglienza amichevole, anche da coloro che non volevan sentir parlare di re stranieri in genere, e di principi di Casa Savoia in specie, e ch'erano i più; ma che mi usavano la finezza di dirmi prima:-non tocchiamo questa corda.-Allo straniero che, richiesto di dove sia, risponde:-Son francese,-fanno un sorriso garbato come per dire:-Ci conosciamo.-A quegli che risponde:-Son tedesco od inglese,-fanno un leggero cenno col capo come per dire:-M'inchino;-a quegli che risponde:-Sono italiano!-porgon la mano con un atto vivace, come se volessero dire:-Siamo amici,-e lo guardano con un'aria di curiosità come si guarda per la prima volta una persona della quale si sia inteso dire che ci somiglia, e sorridono piacevolmente al sentir parlare la lingua italiana come si sorride al sentir qualcuno che senza volerci mettere in canzonatura imita la nostra voce e il nostro accento.


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Spagna
di Edmondo De Amicis
Barbera Firenze
1873 pagine 422

   





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