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      Capace egli di far miracoli, credeva nei miracoli della sua nazione. Come pretendere che un tal uomo avesse dell'opportunità politica, dell'importanza dei trattati, della necessità delle alleanze, delle tradizioni, della legalità, delle convenienze diplomatiche lo stesso concetto che n'avevano i ministri della monarchia? E anche nelle due imprese temerarie che gli fallirono, e per cui fu tre volte prigioniero, per quanta parte non fu indotto a lanciarsi avanti e a persistere dall'incertezza ambigua del governo, che non s'oppose ai principii, e gli gridò: - Indietro! - troppo tardi, lasciando credere fino all'ultimo a milioni d'italiani che sotto al divieto palese ci fosse un consenso occulto, conforme alla doppia politica ch'egli aveva seguìto anche riguardo all'impresa di lui più fortunata? Fu chiamato Garibaldi fulmine di guerra, e ai suoi scoppi improvvisi e agli incendi che suscitò e alle distruzioni che fece l'Italia deve in parte la propria redenzione; ma il fulmine nè si guida nè si corregge; non si doma che disperdendone la forza nella terra. In verità, noi crediamo che, considerando l'indole e le virtù senza le quali Garibaldi non sarebbe stato chi fu, e i procedimenti dei governi ai quali egli servì e disobbedì a volta a volta, e la forza immensa ch'ebbe nel pugno, le generazioni venture si maraviglieranno che ei non abbia fatto della legge un assai maggior strazio di quello che fece.
     
      Ma non è che le sue intemperanze e le sue temerità, perchè furon cagioni di turbamenti e di pericoli, non abbiano recato al paese altro che danno.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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