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      Chi non comprende ora quanto abbia giovato ad affrettare il compimento della liberazione della patria quella voce che gridava infaticabilmente: - Armiamoci, scotiamoci, operiamo, - che manteneva in continuo fermento la gioventù come il tonare non interrotto d'un cannone, che, predicando senza posa la fede e l'audacia, faceva l'effetto come d'uno sprone infocato, perpetuamente confitto nel fianco della nazione? Chi può negare che abbian concorso a persuadere il mondo che Roma era necessaria all'Italia anche quelle due disperate imprese del sessantadue e del sessantasette con le quali egli provò che l'Italia non avrebbe avuto mai pace senza la sua capitale storica, che l'incendio cento volte soffocato si sarebbe cento volte riacceso, che Roma non italiana sarebbe stata un'eterna minaccia di guerra all'Europa? Chi può affermare che l'esercito sparso degl'impazienti e degli audaci non sarebbe stato causa di ben più gravi turbamenti interni se non l'avesse contenuto la speranza, anzi la certezza che nessuna occasione d'operare, anche arrischiatissima, egli avrebbe lasciato sfuggire, che, lui vivente, una politica indietreggiante non sarebbe stata possibile mai, e una politica immobile non avrebbe mai potuto durare, se anche fossero saliti al potere dei nemici mascherati della rivoluzione? Ogni volta che il paese, irritato degl'indugi e della pazienza dei governanti, incominciava ad agitarsi, egli si gittava innanzi a capo basso, urtava contro un muro di bronzo, e cadeva: era per molti un delitto, per tutti un dolore; ma era uno sfogo, una protesta, una sfida, un grido che non moriva senz'eco nel mondo.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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