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      Con la bandiera di Vittorio Emanuele parte per la grande impresa, nel 1860, e, non accecato, ma illuminato dalla fortuna, opera per modo in Sicilia che basta per due mesi la sua autorità a tenervi luogo di governo e di leggi; onde il conte di Cavour, che da prima temeva, finisce con scrivere al Persano: - Se Garibaldi non vuole l'annessione immediata, sia lasciato libero di fare a suo talento. - Nell'ottobre dell'anno stesso, a Napoli, in quel momento terribile, in cui, disputandosi l'animo suo i fautori del plebiscito immediato e quelli dell'elezione di un'assemblea, corse pericolo l'unità nazionale, fu la sua improvvisa ispirazione: - "non voglio assemblea, si faccia l'Italia" - fa questo grido suo che salvò l'Italia. Fu nel 1861 l'inaspettata, saggia, nobilissima temperanza con la quale egli rispose a una lettera dura e provocante del più popolare generale dell'esercito, quella che troncò sull'atto un conflitto che poteva esser principio d'un periodo funesto di discordie e di guai. Nel 1862, dopo il fatto di Sarnico, spontaneamente egli si ricrede intorno all'opportunità d'una spedizione contro l'Austria, desiste dal proposito, sconsiglia gli arrolamenti, e con saggie parole dissipa dall'orizzonte ogni nube. Quattro anni dopo, quando riceve l'ordine di ritirarsi dalla frontiera del Tirolo, nel punto che gli si apre dinanzi, dopo tanti stenti e sacrifici sanguinosi, il periodo più facile e splendido della guerra, con infinito rammarico, ma senza un momento d'esitazione, senza una parola di lagnanza, obbedisce.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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