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      Questo appunto egli credè fermamente, come lo credè il suo maestro; onde gli parve verità afferrabile quell'ideale che, giusta la sentenza d'un grande, è la verità veduta di lontano; e lontana facevano allora la verità dalla sua fede le moltitudini immature a quella forma di reggimento liberissimo e impotenti a quell'azione indipendente, unanime, eroica, fuor della quale egli non vedeva salute. Il disinganno lo trafisse; ma da quello ch'ei stimò errore e sventura del suo popolo, non da misere ambizioni deluse, non da angusto risentimento d'orgoglio offeso, derivò l'amarezza iraconda che lo fece così fieramente severo coi suoi contemporanei e con l'opera loro. E però il suo dolore è nobile, l'ira generosa, e il grido che s'alza dalla sua coscienza spartana contro la servilità e la corruzione che dànno di sè i primi segni, è grido di profeta. E fa professione di scettico invano: egli infuria e impreca perchè soffre, e soffre perchè ama ancora; e nel suo riso di disprezzo trema un ruggito e il sarcasmo atroce che gli scatta dalle labbra stilla sangue del suo cuore.
      Ah, quanto è diversa l'opera dell'uomo dalla parola della sua collera! Dice: - Disprezzo il mio prossimo, sono nauseato di tutti e d'ogni cosa; - ma, stanco e infermo, e bastante appena a provvedere a sè stesso, recita a beneficio di compagni d'arte e di Società operaie, soccorre emigrati e proscritti, e fino a pochi giorni prima di morire porge la sua povera borsa a quanti naufraghi del teatro gli tendon la mano. Scrive: - L'Italia è morta; stoltezza è sacrificare i moltissimi buoni alla rigenerazione dei molti vilissimi; - ma sottoscrive a prestiti per la causa italiana, sussidia giornali, fonda tiri a segno, dà il suo obolo e il suo consiglio per affrettare ogni moto in cui appaia un barlume di speranza, e la notizia dei supplizi di Mantova gli strappa dall'anima dilaniata lacrime di sangue.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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