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      Qui la cittą invecchia all'improvviso di parecchi secoli, si oscura, si stringe, s'intrica, si fa povera e malinconica. Il forestiero che vi capita per la prima volta ne rimane stupito, come dalla trasformazione istantanea d'una scena teatrale. Appena v'č entrato, la cittą gli si chiude intorno, intercettandogli la vista da tutte le parti, ed egli vi resta preso come in un agguato. Le vie serpeggiano e si spezzano bizzarramente, fiancheggiate da case alte e lugubri, divise da una striscia sottile di cielo, nelle quali non s'aprono che portoni bassi e cavernosi, per cui si vedono cortili neri, scalette cupe, anditi bui, vicoli senz'uscita, sfondi umidi e tristi di chiostro e di prigione. Par di essere discesi in una Torino sotterranea, dove non scenda che una luce riflessa. E andando avanti verso il Palazzo Municipale, tutto si fa pił stretto, pił nero e pił vecchio. Si riesce in crocicchi angusti che ricordano le scene del Goldoni, dove si spettegola tra la strada e le finestre, in angoli di viuzze raccolte e sinistre, in cui pare che tutte le famiglie che v'abitano debbano far vita comune, come una tribł di gitani: si vedono dei chiassuoli misteriosi, chiusi fra alti muri senza finestre, d'un grigio sudicio, coperti di grandi macchie diaboliche; e lą immagini di madonne agli spigoli delle case, botteghe di barbiere col lume acceso di mezzogiorno, covi di rigattieri che paiono vani di cantine, albergucci di villaggio, con insegne grottesche, e cortiletti coperti di tettoie rustiche, ingombri di carri di mercanti di campagna, e caffč sepolcrali, che quattro avventori riempiscono.


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Speranze e glorie
Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma
di Edmondo De Amicis
F.lli Treves Editore Milano
1911 pagine 248

   





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