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      Il tamburino scosse il capo.
      - Ma tu, - gli disse il capitano, guardandolo attentamente, - devi aver perso molto sangue, tu, per esser debole a quel modo.
      - Perso molto sangue? - rispose il ragazzo, con un sorriso. - Altro che sangue. Guardi.
      E tirò via d'un colpo la coperta.
      Il capitano diè un passo indietro, inorridito.
      Il ragazzo non aveva più che una gamba: la gamba sinistra gli era stata amputata al di sopra del ginocchio: il troncone era fasciato di panni insanguinati.
      In quel momento passò un medico militare, piccolo e grasso, in maniche di camicia. - Ah! signor capitano, disse rapidamente, accennandogli il tamburino, - ecco un caso disgraziato; una gamba che si sarebbe salvata con niente s'egli non l'avesse forzata in quella pazza maniera; un'infiammazione maledetta; bisognò tagliar lì per lì. Oh, ma... un bravo ragazzo, gliel'assicuro io; non ha dato una lacrima, non un grido! Ero superbo che fosse un ragazzo italiano, mentre l'operavo, in parola d'onore. Quello è di buona razza, perdio!
      E se n'andò di corsa.
      Il capitano corrugò le grandi sopracciglia bianche, e guardò fisso il tamburino, ristendendogli addosso la coperta; poi, lentamente, quasi non avvedendosene, e fissandolo sempre, alzò la mano al capo e si levò il cheppì.
      - Signor capitano! - esclamò il ragazzo meravigliato. - Cosa fa, signor capitano? Per me!
      E allora quel rozzo soldato che non aveva mai detto una parola mite ad un suo inferiore, rispose con una voce indicibilmente affettuosa e dolce: - Io non sono che un capitano; tu sei un eroe.


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Cuore
di Edmondo De Amicis
pagine 303