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      Se non che vinto di nuovo dalla stanchezza del mondo, ripigliava l'abito, e giungeva alla dignità di definitor generale. I costumi claustrali infrattanto non essendosi punto modificati che in peggio, trovando incomportabili le francescane rilassatezze, i cattolici dicono per vedersi escluso dal supremo grado, passò nel 1534 ai Cappuccini, istituiti di fresco. E tra essi due volte, nel 1538 e nel 1540, fu eletto generale; e governò, li storici dell'ordine stesso lo confessano, con molta lode e grande utile della loro osservanza. Ma la pace dell'anima vieppiù gli sfuggiva, nè gli valea raddoppiare mortificazioni e digiuni. Non sapendo conciliare la sentenza delle Scritture colle pratiche religiose, da per sè stesso, conforme raccontasi, cadea finalmente nella persuasione aver Cristo colla sua morte pienamente soddisfatto alla divina giustizia, così meritando il cielo agli eletti; essere questo l'unico mezzo di salute; i voti religiosi, invano trovati, riescire non solo inutili, ma nocevoli; finalmente, la Chiesa romana esser divenuta contraria alle Scritture, abominevole quindi agli occhi di Dio.
      Volgendo siffatti dubbi, ne' quali sprofondavasi appassionatamente, secondo l'indole sua, ei correva predicando le città d'Italia. Ei per vero non era uomo dotto; però avea l'accento che s'impossessa del cuore; popolano di passioni e di sangue, piaceva in ispecie alle moltitudini, che lo ascoltavano come un miracolo. Il fervore del suo zelo, l'austero tenor di vita, il ruvido abito, i radi e canuti capegli, il volto pallido e smunto, la prolissa barba che scendeva fin sotto al petto, l'opinione della sua santità, prestavano alle sue parole, facili, vive e commosse, irresistibile possanza.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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