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      Non usava mai di cavallo o di carro i sempre a piedi pellegrinando da un luogo all'altro, e in tale consuetudine lo coglieva molto vecchio nella lontana Moravia la morte; rifuggiva dal vino; a tutti raccomandava povertà ed obbedienza. Accolto con riverenza ne' palagi dei vescovi e principi, talfiata lor ospite, non obliò mai la semplice austerità del suo ordine. Tutti, ricchi e poveri, dotti ed ignoranti, sovrani e popoli, gareggiavano per udirlo. Alle turbe accorrenti più non bastavano spaziosissimi templi; per entro occorreva alzarvi dei palchi; accadea non di rado che molti su pei tetti salissero, levando le tegole per vederlo e ammirarlo sul pulpito. Due grandi giudici, benchè cardinali, il Sadoleto ed il Bembo, lo acclamavano il principe della popolare eloquenza.
      Venuto a Napoli, tosto conobbe il Valdes, si confermò, rettificò nelle proprie opinioni e con deliberato proposito s'ascrisse alla scuola dell'Evangelio, della giustificazione per la grazia, e del libero arbitrio. Avendo fissa una meta, le sue prediche divennero più eloquenti e nudrite, informandole del nuovo spirito, che sebbene velato offese subito l'ortodossa coscienza di Gaetano da Tiene, che ne scriveva in Roma al Caraffa. Un prodigio sembrò ai cittadini, che intorno al suo pulpito con ansia affoltavansi in san Giovanni Maggiore. Avendo intercesso una volta per un'opera di carità, siffattamente commosse che subito raccoglieva cinque mila ducati. Lo stesso Carlo V andò ad udirlo; e diceva altamente: - Quest'uomo farebbe piangere le pietre.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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