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      Quantunque Bologna fosse città pontificia, e quivi perciò si promulgassero tosto in ogni tempo tutti gli editti di Roma contro l'eresia, i molti privilegi che godeva l'università, forse l'antichissima delle libere scuole d'Europa, i diritti municipali e la scienza temperavano il mal volere, l'arbitrio e l'influsso de' preti. Sì professori come scolari duravano quasi indipendenti nel vivere, nel discutere, e nell'insegnare; dalla legge romana, studio precipuo di quella scuola, nella mente e nel cuore educati all'equità civile, attingevano liberi sensi e disprezzo per le stravaganti, se non barbare, ingiustizie della teologia; onde in quelle aule non di rado suonavano aperti i diritti della ragione e i rimproveri al clero.
      Qui tosto il Mollio tra i giovani rinvenne ardenti partigiani del suo pensiero, ma occhi eziandio che lo invigilavano. Alcune proposizioni sulla grazia e su altri punti ad un Cornelio, maestro di metafisica, non sembrando ortodosse, come non erano, nacque fra loro publica disputa; nella quale vinto il Cornelio, ei sfoderò la suprema delle ragioni cattoliche; tentò far valere contro l'avversario certi argomenti di fune e di fuoco, che valgono a Roma in luogo della logica e della giustizia. Ei porse accusa contro di lui. Citato il Mollio, o vi si difese con infinita destrezza, o i giudici nominati da Paolo III dividessero forse le sue opinioni, questi lo assolsero, dichiarando conformi alla verità cristiana i suoi sentimenti; però soggiungevano che publicamente insegnati riescirebbero forse dannosi alla Santa Sede.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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