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      Indi a rapidi passi attraversate Bologna, Ferrara e Verona, giungeva senza accidenti con tre compagni, Paolo Lacisio, Teodosio Trebellio e Giulio Terenziano a Zurigo.
      Grande fu lo strepito e la maraviglia che la fuga dell'Ochino e del Martire suscitò in tutta Italia. Quasi contemporanea fu quella, ma più avventurosa, di Celio Secondo Curione. I riformati di Lucca caddero nello scoraggiamento e nel lutto, temendo tra le vicine persecuzioni di mancare senza il Martire, loro guida, alla fede. Di Ginevra l'Ochino esortava gl'Italiani a disertar Roma, dichiarando i motivi della propria condotta. E Claudio Tolomei per acquistarsi il favore pontificio dava alle stampe contro l'Ochino un'acerbissima lettera; il Caraffa prorompea in lagni pieni di bile, d'iperboli e di minaccie. La Chiesa romana parve come sorpresa da fulmine. Paolo III ne fu sdegnatissimo; sicchè pretendono alcuni egli si proponesse sfogare la propria collera sull'ordine intero de' Cappuccini, abolendolo.
      Poco dopo, avventuratamente per lui, il cardinale Contarini nel 1542 a Bologna moriva, seguitando nel sepolcro il Fregoso, non desolato dai furori della reazione. Quindi a Verona tenea lor dietro il Giberto, l'antico datario di Clemente VII, l'esempio de' vescovi e uno de' più caldi cittadini italiani, non lasciando per le sue esequie che dieci scudi12, Il cardinal Polo si ritraeva nella sua vecchia prudenza, cospirando con Roma per racquistarsi l'Inghilterra, co' riformati per correggere i disordini della Chiesa; Vittoria Colonna e il Flaminio a metà si convertono; il Bembo già vecchio trascina nelle divozioni fino al 1547 la vita.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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