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      Solo rimaneva e sconsolatissimo il Sadoleto, tra le accuse degli uni e i patimenti degli altri, cercando mettere pace, non mai contra dicendo alla sua cristiana mansuetudine, deplorando i fatti di Roma e d'Italia. Schernito sul Tevere, combattuto dal Calvino, accadevagli quanto accade sempre ai partiti di mezzo. E lamentavasene, perchè ciò ch'egli e gli intimi suoi publicassero fosse non solo deriso dagli avversari, ma anche dagli amici, che lo accusavano di tradimento.
      Anch'esso però moriva prima che Paolo IV potesse aprirgli una carcere, come fece al Morone, come si proponeva di fare al Polo, cui la morte opportunamente sottraeva al Tribunale della Santa Inquisizione.
      V
     
      IL PERCHÈ DELL'INQUISIZIONEAppena sfuggito quel lieto e supremo istante, nel quale a Ratisbona per mezzo del Contarini la Chiesa e i Riformati parvero quasi accordarsi, il governo di Paolo III, come accennammo, assunse carattere affatto contrario a quello de' precedenti anni; e non che riformarsi, la Chiesa più tardi scomunicò la stessa parola riforma, ch'avea pur dato il suo nome a una commissione cardinalizia. La parte de' mezzi termini giacque per sempre; onnipotente l'altra si levò col Caraffa, il quale alzò primo il grido di guerra. Paolo III lo interrogò un giorno che rimedio contro gl'innovamenti restasse; ed egli senza esitare un istante rispose non rimanere che la inquisizione. Echeggiò alla risposta Giovanni Alvarez, cardinal di Toledo. Un prelato spagnuolo non manca mai in simili casi.
      Da quel momento cardine fisso della Chiesa è il terrore.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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