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      Alla testa del tribunale furono messi i due cardinali Caraffa ed Alvarez, unico presidente il pontefice. Que' due s'avean facoltà di delegare giudici con potestà eguale alla propria; potevano agire, senza nulla parteciparne al tribunale ordinario, punendo nella vita e nelle sostanze, a beneplacito loro. Una sola restrizione fu loro imposta, essendosi il papa serbato diritto di grazia. Anima vera di tutto il Caraffa, che persuaso di fare il bene, convinto della santa giustizia di quel tribunale, moltiplicavasi per aprir subito la battaglia contro l'errore, contro Satana. Indugiando il danaro della Camera Apostolica, anticipò del suo per edificar le prigioni a santa Maria della Minerva; imperocchè le case del Santo Ufficio in Transtevere sieno opera posteriore di Pio V; e credesi che il triste fabbricato, ora caserma di straniere milizie, riposi sulle ruine del circo neroniano, ove tanti cristiani furono sbranati da leoni e da tigri.
      Subito il cardinal Teatino diramò severissime, quanto repentine misure. Ordinando la terribile istituzione, ei s'era tracciate parecchie inflessibili regole; per esempio, in materia di fede non bisogna perdere un attimo di tempo, devesi gettare alle spalle ogni pietà ed ogni riguardo, porsi all'opera pel lievissimo de' sospetti, abbattere con qualunque rigore chi vuole difendersi, avere paterna misericordia per chi si umilia e confessa l'errore, non discendere mai verso gli eretici, calvinisti in ispecie, a tolleranza veruna.
      Il tribunale supremo di Roma ha potestà inappellabile su tutte le inquisizioni particolari, tranne la spagnuola, modello invidiato e non raggiunto, ad onta dello instancabile zelo del Caraffa e del suo successore Ghislieri, detto per antonomasia fra Michele dell'Inquisizione.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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