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      I tribunali per le varie provincie dell'universo cristiano erano composti da tre inquisitori, tre segretari, un sergente maggiore, un ricevitore, un qualificatore ed un consultore. Il Caraffa, come gli eretici odiando gli Ebrei - fatto pontefice, abbatteva le loro sinagoghe, e perchè non andassero a' cristiani confusi ordinava loro di portare un berretto giallo -, tutti gli officiali dell'inquisizione dovevano scendere da famiglia cristiana, non aver mai sofferto negli avi loro processo per delitto di religiosa infedeltà e d'eresia; giuravano segreto inviolabile. A giudici non furono esclusi i laici, perchè non solo moltissimi preti e frati, vicari e vescovi, ma anche molti della stessa inquisizione professavano eretiche dottrine. Il Caraffa nominò i primi commissari generali per alcuni paesi; il primo per Roma fu il suo teologo, severissimo uomo, Teofllo di Tropea; tra laici diventarono inquisitori il Godescalco a Como, un conte Albani a Bergamo, e a Milano Girolamo Muzio. Dopo l'Aretino, non restava alle lettere che scendere l'ultimo grado, farsi bargello; esempio cui diede il Muzio, tristo e bilioso letterato, che puntellava la sua intellettuale pochezza ed armava la sua invidia colle accuse, colle torture e col rogo.
      Al carcerato non si concedeva comunicazione veruna col mondo de' vivi, nemmeno co' parenti. E tutte le lettere de' parenti o di lui rimanevano nelle mani del Santo Ufficio. Pene varie e ad arbitrio del tribunale, dalle più miti alle più severe, dall'obbligo di alcune preci e digiuni alla morte; quasi sempre la confisca de' beni, non badando ai figliuoli e ai parenti, benchè dalla bolla ciò fosse escluso; reclusione perpetua; galere; strozzamento e poi rogo.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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