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      Il Vermigli avea saputo tirar a sè il fiore del patriziato. Il quale comprese di non poter salvare la republica, opponendosi risoluto a Roma; cercò dare soddisfazione a Roma e a vicini, multando i religiosi discorsi, assolvendo chi li denunziasse, intimando la consegna de' libri d'eretici, vietando corrispondenze con eretici, nominando fra questi l'Ochino ed il Martire, creando su tali colpe un magistrato di tre cittadini. Però non concesse mai che si stabilisse in Lucca l'inquisizione romana, e non versò una goccia di sangue. Tuttavia la republica nel breve giro di vent'anni non sarà più che un'ombra di sè; vera indipendenza, prosperità commerciale e d'industrie, cultura, tutto sarà svanito. I discepoli del Vermigli non credettero, per sottrarre ad ultima rovina la patria, fornire più oltre pretesti ai lagni di Roma; nel 1555 sembrando che alle minaccie succedessero gli effetti, presero molte famiglie la via dell'esiglio. E in Ginevra trovarono sicura la loro coscienza e una nuova patria, che i Calandrini, i Diodati, i Micheli, i Turrettini, i Trenta, i Bulbani, i Minutoli a far doviziosa ed illustre largamente contribuirono, come avean fatto non pochi Fiorentini a Lione, i Lombardi a Zurigo, recandovi le industrie loro, in ispecie quelle della seta, che abbandonarono con la libertà quasi intieramente il nostro paese. Indarno con ardimento magnanimo Francesco Burlamacchi tentò vendicare Lucca ed Italia15.
      Venezia, sebbene antica odiatrice della corte di Roma, poichè la sua mortale ferita ripetesse da Giulio II che contro lei aveva a Cambrai trascinato - sanzionando lo spergiuro - tutta l'Europa, fu meno di Lucca degnamente tenace.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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