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      Non narreremo oggi il rigore che fu dispiegato a Roma, dagli ultimi anni di Paolo III a Sisto V. I roghi abondarono. Entrata una vittima nelle carceri del Santo Ufficio, non eravi umana possanza, nè senso di pietà che valesse a strapparnela. I pontefici si erano riserbato il diritto di grazia, ma poterono esercitarlo assai radamente. Giulio III desiderando sciolto di carcere un frate che il Caraffa vi tenea per eretico, questi diniegossi, e al messaggiero rispose: - Dì in mio nome al pontefice, che quando non curi che questo Santo Ufficio rettamente e legittimamente agisca, oltre l'ingiuria che reca a Dio, ei non può più sedere sulla cattedra ove siede16.
      I governi spagnuoli di Napoli e di Milano accondiscesero volontieri, tanto più che all'ombra della romana disegnavano introdurre l'inquisizione spagnuola.
      Stava a Napoli vicerè don Pietro di Toledo, che con più ingegno ed iniziativa de' successori deponeva le norme fondamentali di quella rapace e stolta malvagità, cui la storia dimanda governo spagnuolo. Qui non ci tocca porlo ad esamina; basti dire che gli effetti di così tristo regime, benchè tanto volgere d'anni gli pesi sopra, sono ancora sensibili; conturbarono il senso morale, eternarono la miseria nel paradiso di Europa, trassero i Borboni ad essere lo scandalo dell'umanità; ed ivi co' briganti, col clero retrivo, colle male arti governative e con ineffabili confusioni attestano sempre gl'inumani caratteri della teologica provvidenza.
      Don Pietro accolse di assai buon grado il primo commissario del Santo Ufficio, che fu il domenicano don Pietro di Fonseca, il quale aperse le religiose persecuzioni, tosto sollecitando un decreto contro i nuovi libri17. Per opera di Gaetano da Tiene, che apriva intanto missioni, una gran catasta di libri fu arsa publicamente nel 1544 sulla piazza dell'arcivescovado, mentre nella chiesa si annunziavano dai Teatini le fiamme dell'inferno contro gli autori.


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L'inquisizione e i calabro-valdesi
di Filippo De Boni
Daelli Milano
1864 pagine 117

   





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